Tre ricercatori si sono occupati del calcolo dell’impatto della criptovaluta sull’ambiente, rilevando le emissioni di CO2 del Bitcoin. Il risultato? Peggiore di quanto si potesse immaginare
I Bitcoin hanno un peso non indifferente sull’ambiente. Ogni moneta elettronica, infatti, emette gas serra in grado di influire sulla salute dell’ecosistema, e un esempio di tale fenomeno è dato dal calcolo effettuato da tre ricercatori dell’Università tecnica di Monaco e del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Il calcolo è avvenuto tenendo conto del processo alla base del funzionamento della blockchain, con riferimento alla validazione delle singole transazioni della criptovaluta. Per far sì che ciò avvenga correttamente, i dispositivi elettronici necessitano di un hardware specializzato, che porteranno a conseguenti consumi elevati di energia elettrica. La produzione di gas serra, dunque, è legata proprio al consumo di elettricità.
I risultati dello studio del MIT
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Joule. Ma di cosa parliamo quando citiamo i “Bitcoin”? La criptovaluta, creata nel 2009 da tale Satoshi Nakamoto – nome fittizio, poiché l’identità del suo reale inventore non è attualmente nota – è la più discussa a livello globale, essendo divenuta un sistema di pagamento mondiale particolarmente innovativa. Il successo del Bitcoin è dovuto al più elevato di sicurezza alla base delle transazioni della criptovaluta: di fatto, non vi sono terze parti impegnate nella custodia e nell’elaborazione dei dati relativi alle transazioni stesse.
L’estrapolazione dei Bitcoin, da parte dei cosiddetti “minatori”, avviene mediante calcoli matematici effettuati dal processore del computer, o in alternativa dalla scheda grafica. Ciò comporta un elevato dispendio energetico, così come sottolineato da Christian Stoll, tra i primi autori dello studio. “Il dispendio di energia si traduce in una rilevante emissione di carbonio”, al punto tale che altri ricercatori, attualmente, sono impegnati a valutare l’impatto dei Bitcoin anche sul piano dei cambiamenti climatici.
La ricerca coordinata da Stoll è stata finalizzata alla determinazione del consumo energetico delle macchine utilizzate nei processi descritti. Le analisi effettuate sono servite per rilevare le emissioni di gas serra prodotte dalle postazioni di estrazione del Bitcoin, per poi confrontare le emissioni di carbonio prodotte dai consumi di diversi “minatori” localizzati in differenti località. Le informazioni sono state riunite in un calcolo finalizzato alla determinazione del valore complessivo dell’anidride carbonica emessa.
Una ricerca che non può essere sottovalutata
Il consumo annuale di energia inerente alla “produzione” di Bitcoin è pari a 45,8 TWh (terawatt, ossia un miliardo di chilowattore, in questo caso 45,8 miliardi di kWh), a fronte di un’emissione di carbonio compresa tra le 22 e le 22,9 milioni di tonnellate di CO2. La stessa quantità di anidride carbonica emessa da una città come Kansas City, da poco meno di 500.000 abitanti). Il dato risulta ancor più allarmante se rapportato alle emissioni di Paesi come lo Sri Lanka e la Giordania: i valori sono sostanzialmente analoghi, e va precisato che i due Stati sono collocati all’83 esimo e all’82 esimo posto, sul piano globale, tra i Paesi con le più elevate emissioni di CO2. Gli autori dello studio, tra le altre cose, tengono a sottolineare che i valori sarebbero ancor più elevati (presumibilmente doppi) se si prendessero in considerazione anche le altre criptovalute esistenti.
Il coordinatore dello studio, Christian Stoll, ha affermato che il modello concepito è preciso e dettagliato, ma “dipende in modo non indifferente dall’accuratezza dei singoli dati immessi”, con riferimento alla correttezza dei dati Ipo inerenti alle caratteristiche specifiche dei singoli hardware.
Un’ulteriore precisazione è stata effettuata in merito all’effettiva validità dei processi relativi all’estrazione del Bitcoin. “I guadagni in termini di efficienza, inerenti alla tecnologia della blockchain, non sono in discussione”, ha affermato Stoll. Tuttavia, è ugualmente necessario dibattere sui benefici della prassi e sui costi dell’intera procedura alla base del funzionamento delle blockchain.